Salvatore Salvatori, un’intervista sulla Resistenza a Roma

A cura di Gianfranco Panizzoli e Fabio Spinelli

Riprendiamo sul nostro sito un articolo pubblicato sulla Rivista diocesana di Roma n. 5/6 del 1970.

L’articolo è un’intervista a Salvatore Salvatori, presidente della Giac romana e poi per più di venti anni presidente diocesano dell’Ac di Roma nonché figura di riferimento dello scoutismo italiano, Capo scout nazionale dell’Agesci e incaricato di numerosi uffici in vicariato.


Ho potuto intervistare il prof. Salvatori, Segretario dell’Amministrazione del Vicariato, nel suo ufficio. Egli mi ha brevemente ragguagliato sui dati dell’assistenza, svolta a nome del Vicariato, verso tutti quelli che sono sfuggiti al servizio militare dopo l’8 settembre.

«Con l’autorizzazione del Cardinale Vicario, attraverso una mia dichiarazione, siamo riusciti a convogliare negli Uffici del Vicariato – uffici, s’intende, fantomatici: per esempio, Ufficio Ricerche del Vicariato, Ufficio Beneficenze del Vicariato, ecc, – precisamente 916 persone. Le dichiarazioni venivano bollate con timbro del Vaticano e bastavano per esimere dalla chiamata al lavoro come dalla chiamata al servizio militare Qualche dipendente del Distretto militare – dipendente non dal Governo legale ma da quello della repubblica sociale, sotto il governo Roma rimase fino al 5 giugno – era naturalmente connivente e spesso collaboratore». Fra i protetti il prof. Salvatori non ricorda personalità che abbiano avuto ascendente nella vita culturale e politica: quasi tutti erano e sono rimasti figli del popolo. Il loro impegno di solidarietà non riguardava la consegna di tessere annonarie ma soltanto l’esenzione da un servizio militare legato ai tedeschi e ai conseguenti pericoli.

Viva è stata invece, da parte del Vicariato, l’organizzazione dell’assistenza nei suoi molteplici aspetti, soprattutto tra le borgate romane, con particolare attenzione alle zone di raccolta dei profughi e disastrate.

Anni Venti. Salvatore Salvatori in divisa scout partecipa a una manifestazione pubblica dell’Asci Associazione scout cattolici italiani (Fonte: Archivio del Centro di documentazione Agesci Associazione guide e scouts cattolici italiani)

«Io, racconta il prod. Salvatori, ero munito di un triciclo, perché la bicicletta era severamente proibita, e con esso potevo prontamente recarmi sui luoghi del bombardamento, per poi poter riferire sia alla Segreteria di Stato, e personalmente a Mons. Montini, sia al Cardinale Vicario, le tragiche notizie sugli effetti del bombardamento e sulle necessità della popolazione». Per esempio, in occasione del bombardamento di S. Lorenzo. Fu il primo. Il Cardinale Vicario MArchetti Selvaggiani, nella stanza dell’Economo, Mons. Mancini, al pian terreno, invitò il prof. Salvatori a rendersi conto dell’accaduto. Constatato il disastro di tutta quella zona, dovette precipitarsi fino a Piazza Vittorio per rintracciare un telefono onde trasmettere le opportune informazioni alla Segreteria di Stato e organizzare con il Vicariato i primi soccorsi. Soprattutto l’acqua era necessaria in quei momenti di caldo eccezionale. «Mons. Montini – ricordo – inviò dal Vaticano due grossi camion di birra, di gassose e di acqua minerale. Avevo visto la povera gente impaurita e sconvolta bere alle pozzanghere che si formavano ai piedi degli edifici bombardati».

I fascisti avevano mandato un certo numero di camion per trasportare nei loro paesi di origine, soprattutto negli Abruzzi e nel Lazio superiore, i rimasti senza casa. Ma la popolazione temeva qualche rappresaglia durante il viaggio e si rifiutava di accettare. Anche per venire incontro a queste necessità, Mons. Montini fece giungere un certo numero di torpedoni e di camion, ciascuno per una precisa destinazione. «Ricordo, afferma il prof. Salvatori, un torpedone diretto alla Sgurgola, equipaggiato per 40 posti, che trasportava invece una ottantina di persone».

E questo avvenne anche per altre località bombardate.

Salvatore Salvatori (il primo a sinistra) con un riparto scout di Roma durante il periodo della clandestinità dovuta allo scioglimento dell’Asci da parte del regime fascista. (Fonte: Archivio del Centro di documentazione Agesci Associazione guide e scouts cattolici italiani)

Moltissimi invece furono i capi di vestiario, raccolti dalla commovente generosità delle parrocchie romane, sistemati in innumerevoli pacchi dai giovani delle organizzazioni cattoliche, distribuiti attraverso l’Aiuto Cristiano nelle parrocchie più bisognose. Venivano per lo più trasportati con mezzi di fortuna, spesso ricuperati e allestiti alla meglio dalle parrocchie interessate Tra le cose che meno c’era la possibilità di rintracciare e di distribuire, erano i generi alimentari; meglio invece i medicinali; un po’ prelevati dal Vaticano, un po’ raccolti dalle varie farmacie o dai campioni in omaggio ai medici. «Di questi, ricorda il prof. Salvatori, ne avevamo veramente in gran quantità e ho potuto distribuirli anche fuori Roma, a Galloro, per esempio, e al Velletri, dove, anzi, una volta fui colto da un mitragliamento. Fui liberato, dopo una breve cattura, dal capo delle Guardie Nobili, Principe Don Enzo di Napoli Rampolla, il quale testimoniò la mia appartenenza al Vaticano. Abbandonato, allora, lì, il triciclo, feci ritorno a roma sulla sua macchina targata SCV».

Salvatore Salvatori e padre Beniamino Zambetti quando erano rispettivamente presidente e assistente della Giunta diocesana dell’Ac di Roma. (Fonte: Archivio del Centro di documentazione Agesci Associazione guide e scouts cattolici italiani)

Riguardo alla partecipazione del clero a quest’opera di carità che rasentava spesso l’eroismo, il prof. Salvatori poté affermare: «Il clero romano è stato veramente meraviglioso. Tutti hanno sfidato l’ira e le repressioni tedesche. Allora eravamo proprio una famigliola: Roma non aveva le dimensioni mastodontiche di oggi. Ma non si è sentito dire che uno avesse rifiutato o si fosse rifiutato a qualche opera benefica. Non solo i sacerdoti fecero il loro dovere, ma molto più del loro dovere. Quado dopo i bombardamenti sono arrivato alla parrocchia dell’Immacolata al Tiburtino ho trovato il parroco, P. Zanatta, che con tutti i suoi confratelli stava amministrando i sacramenti ai moribondi o ai defunti. Ricordo P. Zanatta, in via degli Equi, che, ad una povera donna rimasta senza gambe, con una corda cercava di fermare il sangue per poterle, prima della morte, amministrare i sacramenti. Gli chiesi: «P. Zanatta, cosa possiamo fare?». «Tutto, rispose, tutto! Aiutateci come potete».

«Così ricordo sulla Casilina, la morte del parroco di S. Elena, P. Melis. Stava, dopo la prima ondata di bombardamento, dando i sacramenti ai feriti e ai moribondi, e si prodigava con estremo sprezzo del pericolo per le prime cure, quando nella successiva ondata fu colpito da una raffica di mitragliatrice, e martoriato da innumerevoli schegge. Lui ne morì, ma tutti gli altri confratelli sfidarono la morte. E così avvenne a Villa Fiorelli, ed in altri luoghi devastati».

«Se insisto, ha concluso il prof. Salvatori, nel dire che ciascun sacerdote ha fatto molto, ma molto più del suo semplice dovere, è perché ne ho avute innumerevoli prove dal mio posto, direi così, di osservazione nel Vicariato e dai rapporti, fecondi di tanto bene, che evvi con moltissimi di loro».

(Rivista diocesana di Roma, n. 5/6, anno 1970, pp. 741-742.)

Salvatore Salvatori interviene a una manifestazione di solidarietà al cardinal Wyszynski prigioniero in Polonia del regime stalinista.
(Fonte: Archivio del Centro di documentazione Agesci Associazione guide e scouts cattolici italiani)